Archivio | settembre, 2022

Il peso della democrazia

26 Set

Le elezioni sono uno strumento di democrazia, quello che ne risulta è frutto di una volontà popolare e in quanto ciò va rispettato a prescindere.
Però.
La verità è che sono andata a dormire col mal di pancia.
E mi sono svegliata con ancora più mal di pancia.
I motivi di questo mal di pancia chi mi conosce li sa, ma ce ne sono due che esulano perfino dal risultato politico di queste elezioni.

Il primo è l’astensionismo. Il dato di queste elezioni, che arrivano in un momento storico – per l’Italia e per il mondo – così delicato, così spaventoso, io non lo accetto. Non posso comprenderlo, non posso in alcun modo giustificarlo.
L’astensionismo è stato del 36%. Lo scarso 64% degli aventi diritto al voto si è presentato alle urne, il dato più basso della nostra storia.

Sarà che mia nonna, nata in un mondo dove le donne il diritto di voto ancora non ce lo avevano, mi ripeteva fin da ragazzina “si vota sempre, sempre”, ma a me non andare a votare – quale che fosse l’oggetto del voto – è sempre sembrato qualcosa di ignobile da un punto di vista civico. L’ho sempre fatto con orgoglio, a volte votando qualcosa in cui credevo, a volte votando contro qualcosa o qualcuno in cui non credevo affatto.

Pensare che qualcuno (più di qualcuno ahimè) non capisca quale straordinario diritto e dovere sia quello del voto mi fa incazzare, perché nell’incuria io vedo il male assoluto di questa società. Pensare che qualcuno (più di qualcuno ahimè) si disinteressi a tal punto di chi batterà la strada del Paese in cui viviamo in un momento come questo dove guerra, cambiamenti climatici, crisi economica e sociale rischiano di riportarci indietro nel tempo di almeno 80 anni, mi fa ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia e dalla frustrazione.

Il secondo motivo del mio mal di pancia è che ho l’impressione che chi ha votato – la maggioranza di essi almeno – lo abbia fatto a favore dell’“hic et nunc”. Che da un certo punto di vista è anche comprensibile e legittimo, ma che mi domando anche che prospettiva si porti dietro.

Oggi a mio avviso ci sono varie categorie di problemi da affrontare.
Ci sono problemi che ci affliggono nell’immediato: il caro energia, la carenza di gas, una crisi economica e del lavoro che da anni ci lambisce e minaccia e contro la quale ci ritroviamo a intervalli regolari a lottare. Un nemico oggi forse più spaventoso che mai perché rafforzato dai fantasmi di una tensione geopolitica che molti pensavano di aver relegato – almeno nel mondo “civile” dell’Occidente, quello che interessa ai più – nel secolo scorso.

Ci sono poi problemi, quelli climatici su tutti, che sono stati ignorati per decenni perché – proprio come quando devi dare un esame all’università e tendi a rimandare lo studio per poi ritrovarti a fare le nottate ormai a ridosso della sessione – se il problema non è visibile e tangibile si pensa di poter procrastinare la soluzione che magari è dolorosa. Fino a che quel problema non diventa però visibile e tangibile, bussa alla porta in maniera evidente e la soluzione dolorosa ormai sembra addirittura meno dolorosa del problema stesso, nonché inevitabile. Eppure a questa accettazione sembra che nemmeno oggi ancora la classe dei politici – e ahimè degli elettori – ci sia arrivata.

Ci sono problemi, infine, che sono da sempre stratificati nella nostra società e che solo nella storia recente hanno acquisito lo status di “problemi da risolvere”, perché la percezione per lungo tempo è stata che impattassero solo su una minoranza della popolazione. Sono problemi la cui risoluzione oggi è più alla portata di quanto non lo sia stata mai grazie alla conoscenza, all’informazione e al libero accesso ad essa, alla consapevolezza di sé e degli altri. Sono problemi che diversamente da quanto ancora però molti pensano, non impattano solo su una minoranza ma su tutti noi, perché sono strettamente legati al concetto di libertà e uguaglianza.

Ebbene oggi quando mi sono svegliata, la consapevolezza piena che di queste categorie di problemi si fosse votato col pensiero solo rivolto alla prima, mi ha fatto annodare lo stomaco. Non perché non sia importante e sacrosanto occuparsene, ma perché il particolare ancora vince sull’universale, l’immediato ancora vince sul futuro, il pragmatismo si fa cicala anziché formica e prepara il terreno a un domani che mi preoccupa forse ancora più dell’oggi.

Quando stamattina col mio mal di pancia ho guardato mio figlio ho pensato che desidererei con tutto il mio cuore che crescendo potesse essere libero. Libero di non doversi preoccupare di avere un tetto sulla testa, ma anche libero di essere felice a prescindere da cosa significherà per lui “felicità”, libero di vivere in un mondo che non “tollera la diversità tra gli esseri umani” ma che nemmeno la percepisce una diversità, libero di non chiedersi, una volta arrivato alla mia età, se sia coscienzioso o meno mettere al mondo un figlio.

Stamattina guardandolo ho realizzato che oggi abbiamo un motivo in più per sentirci in colpa per il futuro che lasciamo a lui e agli altri giovanissimi che ereditano un mondo instabile, diviso, egoista e in rovina, incapace di pensare all’oggi in funzione del domani, ai diritti in funzione non solo del proprio interesse e bisogno ma anche di quello degli altri. La democrazia va rispettata e rimane un valore incommensurabile, ma forse noi, che a differenza di tanti in molti altri Paesi abbiamo il privilegio di poterne usufruire, dovremmo imparare a farlo con più cuore, più coscienza e più cervello, dandole il peso che merita.